Community Manager: chi è costui?
Se ne parla tanto ormai, spesso a sproposito. Correva l’anno 2008 quando un amico, di quelli con un piede negli States e l’altro in Italia, venne da me – sbarcata su Facebook solo perché costretta da un’amica americana «ad ammirare le foto dei suoi nipotini» – e mi disse: «Ma lo sai come ti chiami tu?… Tu sei una social media manager!».
Ah. Ecco.
Di acqua sotto i ponti, da allora, ne è passata un’immensità. L’espressione adesso dilaga e, come spesso accade, più che di un uso verrebbe da parlare di abuso. Proprio ora che questo lavoro, tra un anno, potrebbe non esistere più. Almeno non nei termini in cui lo conosciamo oggi.
Facciamo chiarezza
Chi è dunque il Community Manager? Che cosa deve sapere, e saper fare, per esprimere il proprio ruolo al meglio e portar a casa il risultato per se stesso e il Brand di cui si occupa?
La confusione ancora regna sovrana, sia tra le aziende nella assegnazione dei job title, sia tra «addetti ai lavori». Community Manager, Social Media Manager, Social Media Analyst – e ancora «-Strategist», «-Specialist»… Solo alcuni dei termini più ricorrenti in rete, i cui significati spesso si sovrappongono e confondono, in un mare magnum ove, su tutti, spicca neanche a dirlo la figura sempreverde del «cuggino» di turno, quello che «ce penso io a farti ’a paggina su feisbuk!» o, peggio, del guru vendi-fuffa, del «socialmediacoso».
Il fatto è che non esiste – né potrebbe esistere, data la «liquidità» della materia, un sapere consolidato sul tema. Non c’è una Treccani dei social: la loro natura, il loro DNA, al contrario, è ancora in fase costitutiva, in costante divenire. La community di cui si diviene manager è una «comunità liquida»: che non consente di incasellare e sfornare definizioni scolpite in stile «Bignami delle community», da manuale pronto all’uso.
Le 5 C del Community Manager
Che possiamo dire allora? Beh, in una parola – anzi tre:
il Community Manager è colui che «Comunica, Coinvolge, Cura».
Chi, che cosa? La Community online: la fluida, indefinita e potenzialmente infinita, comunità di utenti in rete in qualche modo riconducibili al Brand che si vuol promuovere.
Il Community Manager è dunque colui che, appreso o strategicamente ideato, rielaborato, il messaggio, la mission da comunicare al mondo, si fa tutt’uno con essa e vive in interconnessione perenne con i propri contatti: Comunicando, Coinvolgendoli, prendendosene Cura, praticando con ciò un costante Customer Caring, con il Cuore, l’anima, tutto se stesso.
Che cosa deve saper fare un community manager?
Fra le sue competenze rientrano le cosiddette cinque «C» – quelle del Comunicare, Coinvolgere, Curare, Customer Caring col Cuore – che si fondano certo su competenze, skills precise: alcune core, altre «esternalizzabili», possibili oggetto di delega.
Vivendo nella liquidità, il Community Manager deve conoscere ciò di cui parla e comunica. Così come deve saper delegare ad altri, specialisti di quel settore.
Il community manager è come un direttore d’orchestra che coordina più strumenti, rendendoli musica e vita. Il direttore dei lavori in un cantiere aperto che diverrà presto Smart City per molti.
Che significa tutto questo? Che cosa comporta dire che il Community Manager è colui che «Comunica, Coinvolge, Cura»? Per esser certi che nulla ci sfugga, è bene agevolar la comprensione procurandoci delle «chiavi d’accesso» alla sua natura, al suo DNA, cercando di chiarire anzitutto quali siano e dove ne risieda l’utilità.
Le quattro skills del Community Manager
Ecco dunque le quattro keywords, i quattro concetti-chiave, le «parole d’ordine» alla luce delle quali chiarire chi sia il Community Manager e quali siano le sue mansioni:
- Resisto, dunque sono. Cioè: sono Resiliente.
Ecco la prima keyword, il primo talento del Community Manager: la Resilienza quale exit strategy dalla crisi. Come risolvere i miei problemi di business, come riuscire a vendere, uscendo dalle empasse del periodo? Improntando il mio atteggiamento alla resilienza: capacità di «superare la crisi», di vivere oltre, non però come mera sopravvivenza, bensì come rinascita a vita nuova, anche nel business.
Dal latino re-salio, iterativo del verbo salio, «rimbalzare», il termine indica, infatti, la capacità di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare. Resilienza è dunque l’abilità di resistere, adattarsi e risollevarsi dagli choc esterni. Vale per gli individui come per le aziende. In psicologia resilienza è «la capacità di affrontare in maniera positiva gli eventi traumatici», di «ricostruirsi», «riorganizzare positivamente la propria vita se messi di fronte alle difficoltà». «Persone resilienti» sono «coloro che, immerse in circostanze avverse, riescono nonostante tutto a venirne fuori». «Resisto dunque sono»: skill essenziale oggi, dove i problemi non paiono destinati a esaurirsi tanto presto.
«Il livello di resilienza di una persona determina chi avrà successo e chi no», ha affermato Dean Becker, presidente e CEO di Adaptive Learning System. Accade anche in chimica. Il nitinol è un metallo di nichel e titanio che ricorda la sua forma originale e che, anche se deformato, può ritornarvi dopo essere stato riscaldato. Così aziende e individui devono imparare a sopravvivere agli eventi catastrofici acquisendo vita nova, rinascendo più forti e maturi.
«Il futuro», ha dichiarato Dominc Barton di McKinsey, è ormai «per tutti un’era di permanente volatilità», divenuta la nuova normalità. Urge tornare a una «sana e prudente gestione manageriale», con nuove metriche e nuove misure di performance, ove si sappia anche «rinunciare a una parte di profitti, se questo significa maggiore stabilità».
Certo, ci vuole un management di livello per far preferire, al «total shareholder return», alle cedole da staccare oggi, la «customer centricity». Lo stesso Della Valle dichiarava nel 2012 sul Corriere della Sera, provocando Marchionne: «Il vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l’Italia o la crisi, ma i suoi azionisti e il suo amministratore delegato. Se il cliente è contento, prima o poi lo sarà anche l’azionista».
Così il Community Manager non deve lasciarsi guidare dall’emotività, ad esempio nella gestione di una crisi: al contrario, deve ricordare sempre dove i suoi passi porteranno lui e il Brand che rappresenta. «Sul ring o fuori non c’è nulla di male nel cadere», diceva Muhammad Ali. «È rimanere a terra che è sbagliato».
- Sono. Cioè: sono questo che vedi – Autentico, trasparente e cristallino come l’acqua. Autenticità e trasparenza sono, per ogni Brand e per ciascuno di noi, i valori prioritari da recuperare, autentico e trasparente dovrà essere pertanto il Community Manager: non alla ricerca di un ROI diretto, di una monetizzazione a breve, bensì in una strategia di lungo periodo che vada oltre se stessi e il proprio mandato, guardando al futuro del marchio ed alla sua identità. Che miri al riacquisto di un valore. Il
D’altronde, articoli e pubblicazioni sul tema non si contano, ormai da anni. «10 modi per essere se stessi e costruire il proprio Brand su social media», «Perché queste 9 compagnie hanno scelto la trasparenza», «La nascita delle aziende democratiche»: ecco solo alcuni esempi. «Autenticità» è il primo comandamento della resilienza: di fronte agli shock esterni, tornare dentro di sé non come chiusura, ma come rinascita grazie al recupero della propria parte più essenziale. «Gnòthi seautòn,» «conosci te stesso», ripete il mondo con Socrate da millenni.
Ma v’è anche un’ossessione moderna per sapere cosa è autentico e cosa non lo è.
Impazzano programmi come «Le Iene», «Striscia la notizia», reality show, fiction o film basati «su una storia vera». Spopolano le birrerie «autentiche», le «borse vere» di Gucci, Coca-Cola con lo slogan «The Real Thing», Starbucks e il suo «Real Food», Marks&Spencer col suo «abbigliamento autentico», i «boxer autentici».
È il «Transparency Marketing»: un «occhio buttato dietro le quinte» – anche sui guadagni di compagnie, CEO e dirigenti. «La trasparenza è per noi valore essenziale», ha detto Joel Gascoigne, co-fondatore di Buffer: «core value», core business.
Da un simile presentarsi chiari e semplici come l’acqua, ripartono la fiducia e il dialogo necessari per riaprire il tavolo delle trattative, dove nulla può esservi di negoziabile in caso di parola tradita.
- Ci sono. Sono qui, a tua disposizione. Puoi fidarti di me. Affidabilità dell’azienda, dunque, o di te che devi vendere, o ti vuoi «vendere»: l’esser degni di Fiducia, che il cliente può e deve poter riporre nel Community Manager e nel Brand che rappresenta. Affidabile e degno di Fiducia dovrà essere dunque il Community Manager stesso.
«L’autenticità è l’allineamento della testa, della bocca, del cuore e dei piedi, pensare, parlare, sentire e muoversi nella stessa direzione», ha affermato Lance Secretan, scrittore, tra i massimi esperti di leadership. «Questo costruisce la fiducia e i collaboratori amano i leader di cui si possono fidare». Da qui rinasce il business.
«Build extraordinary trust», dice Seth Godin: costruisci una straordinaria fiducia. Come hanno fatto Nutella, con Ferrero già nella «Top 20 mondiale della reputazione», o BMW, Google e Daimler, sul podio, o ancora Rolex, Lego e Walt Disney, e per l’Italia Armani e Pirelli, Barilla e Lavazza. «Make promises and keep them», predica ancora Godin. Prometti e mantieni: non si dica mai di te il contrario. «Trust, not Traffic», fiducia, non semplice traffico e visite su sito, ripete Jay Baer su Convince&Convert, manifesto della sua Youtility, un marketing «about Help, not Hype»: aiuto, non strillo, lancio pubblicitario. Un nuovo marketing «così utile che la gente sarà felice di pagare», farà la fila pur di comprare da te. Qui sta la chiave del successo oggi: se saprò darti prova (e solo in questo caso) del mio essere trusted, allora tu mi crederai, resterai con me. E comprerai.
- … Per te (e per me). Cioè: Amicizia. Un rapporto nuovo che deve così nascere: un Brand «Amico del cliente», un Community Manager che sa essere amico del proprio contatto, del cliente tale o potenziale in rete. Amico vero, però: di quelli che arrivano da te anche alle 3 del mattino se hai bisogno, che danno la vita per te e si mettono in gioco finché non stai bene, non sei soddisfatto, non hai risolto ogni problema. E viceversa. Dove guadagnano tutti: clienti, amici, contatti, Brand.
«Humanize Social Media Brand»: renditi amico, come persona e azienda, del tuo network. «Non chiamateli utenti, chiamateli persone. Non chiamatela comunicazione, chiamatela conversazione». È lo «Human-To-Human Marketing» di Bryan Kramer, tra i 25 Top influencers al mondo secondo Forbes. «I social media ci permettono di ritrovare il dialogo con un’audience fatta di persone, non un target». «Welcome to the Human Era», annuncia Hill Holliday di Lippincott. Benvenuti nell’età «umana», del ritorno al faccia a faccia. I Brand oggi sono «Human Era Brands», compagnie dal volto umano. «Brands are your Friends». Devono esserlo. Quegli amici che si vedono nel momento del bisogno. Che si spaccano la schiena per te, mettono in gioco se stessi per aiutarti sino in fondo. E così, rovesciando il punto di vista, mentre aiutano te, aiutano se stessi poiché tu, fidandoti di loro, comprerai da loro e farai ripartire il circolo virtuoso degli affari.
Riepilogando, questi i «quattro talenti» del Community Manager – il suo essere:
- Resiliente;
- Autentico, trasparente;
- Affidabile;
- Amico dei propri contatti online e offline.
Quattro capacità che, come persona e professionista, il Community Manager è chiamato a far proprie e mettere in pratica ogni giorno.
Non le troveremo scritte nel curriculum o nel suo profilo LinkedIn. Molto di più, però, questi comandamenti saranno così forti, da esprimersi da soli in ogni altra skill esplicitata, in ogni gesto della sua attività.
La giornata tipo di un Community Manager
Alla luce di queste «quattro chiavi», l’accesso al DNA del Community Manager risulta sicuramente più agevole.
Com’è la sua giornata tipo?
Un «frullatore» fatto di social network e social media, email da controllare e messaggi da inviare, notifiche cui stare dietro – senza esserne travolti – e post da lanciare, senza contare i commenti cui rispondere, gli updates da programmare e quelli, infine, da condividere in real time (perché nulla è bello come il «bello della diretta»!).
La mattina parte in genere col check delle email o, appunto, delle notifiche social, la lettura di news e newsletter – ricche di contenuto cui attingere in giornata – provenienti magari dai guru degli States e che non si è smaltito il giorno prima. Mio consiglio? «Eat The Big Frog», come insegnano gli anglosassoni! Ossia «fa’ subito una cosa impegnativa», liberati subito di qualcosa di pesante o che richiede molta attenzione.
Perciò niente e-mail come prima attività, niente notifiche, niente alert. Tutto questo può aspettare: lo troverai anche tra un’ora, garantisco! Scrivi un articolo da inserire nel blog, tuo o del Brand per cui lavori, e che poi ricondividerai su social; fa’ una analisi dei dati o occupati di finire una presentazione. Sii solo con te stesso e il tuo computer.
Poi però, certo, buttati nella community! Ore 8 «post del buongiorno» – secondo la regola aurea dell’«80/20», che vuole che per l’80% dei contenuti tu ti occupi d’altro che di selfpromotion – accompagnato ad esempio da altri due post, alle 12 e alle 16, più magari quello serale, di cui uno solo sia «post di offerta» e gli altri, invece, ricondivisione di news fresche di stampa più generali anche se sempre, naturalmente, più che coerenti col profilo della azienda. Datti degli orari per la gestione delle e-mail: una volta la mattina, una volta il pomeriggio e ancora una volta la sera.
Lo stesso dicasi per il controllo e la gestione delle notifiche: nella loro presa d’atto, nelle risposte da dare al network, nell’eventuale condivisione di quanto giunga dalla community con altri reparti aziendali o collaboratori.
I tool del community manager
Molto in questo possono aiutare tool, alcuni dei quali immancabili nel bagaglio del Community Manager: SaneBox, ad esempio, per la gestione di email e Newsletter, IFTTT per l’automazione, purché sia sempre «sana, misurata e controllata», di alcune attività social, e ancora Pocket o Feedly per il salvataggio degli articoli da «leggere dopo».
Bonus? Un consiglio: per me, malata di Telegram, il tool migliore per il salvataggio e archiviare gli articoli a cui dedicare attenzione in un secondo momento resta la condivisione con l’account «Messaggi Salvati» su Telegram, appunto. O, dato che sono anche «malata» di LinkedIn, la funzione «Content Suggestions» delle nuove LinkedIn Pages, per individuare gli articoli più interessanti da ricondividere poi con la propria rete di contatti.
A questo punto il DNA del Community Manager appare certo più chiaro. Per comprenderlo sino in fondo, però, occorre però una riflessione mirata: la affronteremo nella seconda parte del nostro viaggio alla scoperta del Community Management.